di Flavia Fiocchi

pubblicato il 15/01/2021su https://www.numerotre.it

Vangelo_Miele

Beata critica letteraria. Ho incrociato questo libro, Il Vangelo secondo Jack Kerouac di Luca Miele, in radio, la laicissima Radio3. L’ho ordinato in libreria, perché non sia mai che certi lavori arrivino a troppi occhi. Così ho avuto delle conferme. Ma andiamo per ordine. Lo confesso, Kerouac e il Beat nella mia formazione hanno significato moltissimo, un mito certo, ma anche un ideale lessicale, una forma sulla pagina, perfettamente interpretata per noi da Fernanda Pivano alla fine degli anni Cinquanta. 

Mi sono sempre tenuta lontano dalle facili critiche: misogino, ubriacone, testa calda. La fin troppo citata frase, «a quel tempo danzavano per le strade come pazzi e io li seguivo a fatica come ho fatto tutta la vita con le persone che mi interessano, perché le uniche persone che esistono per me sono i pazzi, i pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d’artificio gialli che esplodono simili a ragni sopra le stelle e nel mezzo si vede scoppiare la luce azzurra e tutti fanno “Oooooh!”», è dichiarazione di vita e di intenti, lapidaria, definitiva. Kerouac è spirito, ricerca, tormento ed estasi, e Luca Miele, giornalista del quotidiano Avvenire, lo spiega come si deve. 

Prima conferma: anche se parte di una collana, edita da Claudiana, che reca sempre lo stesso titolo, “Il Vangelo secondo…”, cosa che potrebbe scoraggiare, il viaggio che Miele compie è unico nel suo genere. Perché unico il suo oggetto. E non c’è solo “Sulla strada”, pietra miliare del fenomeno Beat, c’è l’estasi de “I vagabondi del Dharma”, e soprattutto “Visioni di Cody” e “Visioni di Gerard”. Perché il dramma c’è stato e c’è nella vita del buon vecchio Jack, l’ossessione della morte, così presente in “Visioni di Cody”, e ancora in “Visioni di Gerard”, scritto nel 1956 in soli dieci giorni, autobiografico nel racconto del fratello Gerard, morto in tenera età, e diventato, agli occhi dello scrittore, santo, angelo, eterno, «appartenente, come i Beat, a un altro mondo».

Seconda conferma: non bisogna confondere ricerca spirituale con inclinazione religiosa. Kerouac – e verrebbe voglia di leggerne i Diari – si è posto domande per tutta la sua (breve) vita, ha approfondito e indagato, e il Dio che sente vicino per lui è la risposta, e allora la sua ricerca che genera scrittura non si può limitare all’introspezione, deve guardare fuori, essere nel mondo e nella realtà, essere sulla strada. Mi piace la riflessione sul termine Beat, apice di beatitude, il battito della musica jazz, ma anche beaten, abbattuto scoraggiato. Coloro che rifiutano un certo tipo di società e cercano altrove un altro modo, forse un’estasi. Inutile negarlo, Kerouac fu un mistico, purtroppo le mode, il mito della strada, critiche maldestre, alcol e donne, hanno condotto a altre interpretazioni. 

E allora, davvero benedetta critica letteraria, perché anche se non condividiamo tutte le tesi proposte, possiamo seguire un ragionamento, fili nascosti che si intrecciano, fare “Oooooh!”, e pensare che su quella strada, a fare l’autostop, ci siamo stati un po’ tutti, abbiamo avuto paura, poi abbiamo scoperto e conosciuto, alcuni addirittura capito.

Il Vangelo secondo Jack Kerouac si legge bene, e non è necessario aver letto tutto Kerouac – magari è consigliato, in ogni caso vi verrà voglia – per seguire Miele che indaga prima l’autore, poi l’opera letteraria, la ricerca di Dio e la sua opera. Una domenica pomeriggio, 128 pagine che sapranno appassionarvi. Il giusto accompagnamento per questa avventura? Un vino che ha fatto parlare di sé, il Pecoranera di Tenuta Grillo, azienda creata da Guido Zampaglione, enologo visionario, che un po’ mi fa pensare al buon vecchio Jack.

Il vangelo secondo Jack Kerouac
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